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martedì 9 febbraio 2016

Indovina chi viene a cena?

Una domenica sera d'inverno.
Una cena a due vicino a casa, in un ristorante carino, aperto da poco, gestito da persone giovani....
Dopo aver ordinato, vado in bagno.
Nuovo, ben curato...pulito.
Mi blocco....disorientata...


Oddio...
Bagno donne/disabili o uomini?
Noooooooooo...
E io che volevo almeno stasera godermi una serata senza pensare a nulla e senza arrabbiarmi.......
Sob....
Possibile che nel 2016 , tra tanti discorsi attorno al tema delle discriminazioni (di genere e non solo), davanti a dibattiti attorno al tema dell'inclusione...
Beh... la prima riflessione che viene è quella dell'assimilazione della disabilità al genere femminile...
Forse la donna, dedita alla cura in quanto tale, è il genere più tutelante per accogliere in bagno un disabile maschio?
Già....perchè in quale bagno dovrebbe recarsi un disabile maschio?
Come se poi ci dovesse essere per forza una distinzione nei generi per la costruzione di un bagno oggi..... e forse non sarebbe
e meglio fornire entrambi i bagni di sanitari e misure adatte ad un potenziale cliente (maschio o femmina che sia)portatore di una disabilità?
Mah...
Sbigottita e polemica mi rendo conto che nel frattempo la mia pizza potrebbe già essere quasi arrivata e il mio compagno di cena potrebbe essere stanco di aspettarmi...
Che fatica essere sempre attiviste!

domenica 10 gennaio 2016

Un articolo da leggere spesso.



In questi giorni di inizio anno, di ritorno da una piacevolissima vacanza in Germania ho trovato conforto e ristoro in questa preziosa analisi fatta da una giornalista che non conoscevo...
Voglio solo condividere questo articolo con tutte voi!

http://www.giuliablasi.it/fatti-di-colonia-islam-immigrazione/



venerdì 18 dicembre 2015

Della nerezza del nero


I limiti del mio linguaggio significano i limiti del mio mondo. (Wittgenstein)


Eccolo!
Eccola!
Eccoli!
Si, sono loro, proprio loro! I nemici!
Quelli che ci muovono la pancia, che ci fanno toccare livelli di rabbia inverosimili....
Quelli che non sopportiamo da sempre, che cercano sempre mediazioni quando non ce n'è bisogno...
Già ...perchè il mondo è bicolore da sempre e per sempre....o di qua o di là!
E io non sarò mai così! O cosà!
E io ho ragione, e gli altri non capiscono!
Ogni giorno che cresco mi allontano con rabbia da questi monoteismi ciechi che hanno come unico protagonista il proprio ego, solo soletto e tutto compiaciuto...
Sì, perché nei mondi con pochi colori a volte ci si sente sicuri, protetti, rassicurati....meno variabili, tutto sotto controllo...no sbatti.
Molto complicato il relativismo invece, la lettura complessa della realtà fluida e polimorfa che malgrado noi...accade..
Il rischio è di sembrare paraculi, senzapalle(senzovaie nel mio caso sia ben chiaro),cattocomunisti come da poco mi si è detto..
Beh, sì va bene eccomi Mrs paracula, pronta a trovare interstizi di pace ed esploratrice del mondo che non è una superficie monodimensionale  bensì un luogo dove le prospettive e le direzioni si moltiplicano ad ogni sguardo attento... e dove il più grande nemico che possiamo fabbricarci abita solo dentro di noi...

Nella misura in cui uno schema di codifica crea un orientamento verso il mondo, esso rappresenta una struttura di intenzionalità la cui manifestazione specifica non è una mente cartesiana isolata ma un sistema organizzativo più ampio....(C.Goodwin, Il senso del vedere)





sabato 24 ottobre 2015

Essere Minoranza

Essere minoranza.
Succede spesso di sentirmici.
In molti contesti differenti e con ruoli diversi...
Badate non dico sola, ma tra pochi/e...

E a voi?
Vorrei raccogliere qui una serie di contributi di chi come me, spesso o anche solo qualche volta, si è sentita minoranza...nè ha sentito il profumo, la fatica, l'orgoglio, la frustrazione, il sapore....


giovedì 9 maggio 2013

non è un paeseper mamme

Vita da madre nel Terzo millennio
Così si raccontano cento donne

Abbiamo inviato un questionario a un gruppo di mamme del nord e sud d'Italia: in tante hanno pagato la maternità con la solitudine e spesso hanno perso il lavoro. Ma c'è anche chi, con un impiego precario,  ha dovuto rinunciare ad avere un figlio. Lo Stato? Il grande assente:una su due vorrebbe cambiare Paese

ROMA - Dicono sia la cosa più bella del mondo. Molto probabilmente lo è. Ma il mondo delle giovani madri, spesso, somiglia a un delirio di solitudine. Soprattutto in Italia. La vita precedente, dopo il parto, non esiste più, soppiantata da un'altra in cui è la donna, salvo rarissimi casi, a occuparsi di ogni cosa e a ritrovarsi, in poche ore, a gestire un essere umano che ha bisogno di tutto. Notti insonni, crisi di panico, senso di inadeguatezza, neanche più un minuto per sé, in molti casi l'obbligo di dire addio al lavoro. Per le donne che prima di diventare madri lavoravano, viaggiavano e uscivano, la maternità rappresenta un'"amputazione". Perché la vita di chi è alle prese col primo figlio è fatta di dieci, dodici, ventiquattro ore al giorno in compagnia di un bambino che non parla, ma piange, mangia e ogni tanto si ammala. Moltissime non hanno nessuno a cui rivolgersi, dato che il compagno - quando c'è - lavora, e gli amici si defilano appena sanno che la tua vita è legata a quella di un bambino di poche settimane.

Questo il profilo che emerge dalla nostra inchiesta sulle madri in Italia, cento intervistate da nord a sud del paese. Tra loro diplomate, laureate, qualcuna anche in possesso di un master. Moltissime con uno o due figli di meno di 5 anni. Anche se in tante possono far ricorso all'aiuto dei nonni, si sentono sole. Solissime. Una su quattro dichiara che la cosa che la fa soffrire di più è l'indifferenza degli altri di fronte alle proprie difficoltà. Una cosa che pesa addirittura più delle discriminazioni sul lavoro. E non certo perché queste non ci siano: le disoccupate tra le intervistate sono 25 su cento. Di queste 21 hanno smesso di lavorare dopo la maternità.
Per scelta? Sì, ma quasi sempre per forza. "Circa l'8% delle lavoratrici subisce discriminazioni sul lavoro in conseguenza del fatto di avere un bambino. Quasi sempre - spiega Alessandra Menelao, Responsabile dei centri di ascolto mobbing e stalking UIL - quelle del sud dopo il parto non tornano più al loro precedente impiego. Tutte, senza distinzioni territoriali, denunciano poco. Il 'mobbing da maternità' emerge più facilmente nel privato che nel pubblico, ma questo solo perché nel pubblico ci sono comitati che prevengono queste situazioni. Il settore più colpito, comunque, è il terziario".

Il senso di abbandono pesa quanto le difficoltà economiche. La spesa media per un figlio che ha meno di 10 anni si aggira sui 300 euro al mese e le famiglie che hanno due o tre bambini arrivano a spenderne anche 1000. I nidi migliori si trovano in Emilia Romagna ed è questa la regione dove troviamo anche le madri più soddisfatte della propria condizione. Non è un paese per mamme, insomma? Le nostre intervistate non hanno dubbi: Italia bocciata da un plebiscito. E nasce addirittura la voglia di scappare, un desiderio espresso da una donna su due. Pronte ad emigrare negli Usa o in Nord Europa , in Sud America o in Australia. Altro che festa della mamma, o maternità come status symbol. Soprattutto chi ha figli in questo paese si sente stretto.

Per fortuna ci sono i paracadute: certo i nonni, non tanto per il sostegno economico, quanto per il ruolo di super baby sitter. Ma neppure il sostegno dei "secondi genitori" va dato per scontanto se una madre su quattro dichiara di non ricevere alcun tipo di aiuto. Anche per questo una delle cose che rende più felici le nostre intervistate è l'incontro con servizi sociali o volontari in gamba. E stanno nascendo anche gruppi di mutuo aiuto tra madri, basati sui social network. Tra associazioni e reti in Italia sono circa un migliaio le nuove realtà.

I risultati di questa inchiesta si allineano con quelli raccolti dal Formez, Centro servizi, assistenza, studi e formazione per l'ammodernamento della P. A., dal quale emerge un profondo disagio da parte delle madri italiane, soprattutto dal punto di vista economico. Il servizio Lineaamica, che riceve ogni giorno decine di telefonate con richieste di aiuto da parte di donne madri, ha infatti registrato che, su 280 contatti raccolti ultimamente, le domande più frequenti riguardano il funzionamento della social card (38%), i contributi per i nuovi nati (25%), i pagamenti bonus bebè previsti dalla Regione Lazio (20%) e le novità introdotte dal decreto Fornero-Grilli del 22 dicembre che introduce importanti innovazioni per i neogenitori lavoratori.

Le difficoltà pratiche e il senso di abbandono sofferto dalle madri restano però un allarme che la società non vuole ascoltare. E, paradossalmente, l'icona stereotipata del materno sembra, da dieci anni a questa parte, essere tornata in voga in tutto il suo splendore. Se sei donna "devi" essere madre. E, soprattutto, devi esserlo bene. E non solo in Italia. Esattamente un anno fa, la copertina del settimanale Time ritraeva una madre che allattava il figlio di quasi quattro anni, condizione essenziale "per farlo crescere sereno", si leggeva nel pezzo interno al giornale.

A sviscerare lo stereotipo della "mamma per forza a tutti i costi" ci ha pensato la giornalista e scrittrice Loredana Lipperini col bellissimo "Di mamme ce n'è più d'una" (Feltrinelli, 315 p., 15 euro), libro che, basandosi su decine di post scritti da donne sul blog dell'autrice, racconta questa virata dell'immaginario verso la maternità come destino e non come scelta e dell'ostinata, miope riproposizione di due soli modelli di madre: quella che rinuncia a tutto per sacrificarsi al figlio, e la madre acrobata, che concilia lavoro e famiglia col sorriso sulle labbra. "Ma ne esistono migliaia, non due", spiega l'autrice.

Una conclusione che, a luce delle risposte raccolte con la nostra inchiesta, non si può non condividere. Perché ogni madre è, prima di tutto, una donna. Avere per anni sottovalutato o addirittura ignorato questa realtà ha creato una società incapace di accogliere e sostenere le sue protagoniste nel momento più delicato della vita, nell'assurda convinzione che una madre abbia più doveri che diritti e che l'inclinazione al sacrificio faccia parte del suo dna. "Perché si può essere culturali quanto si vuole  -  spiega Lipperini  -  ma infine il concetto di sacrificio  -  concetto cattolico radicatissimo nella nostra vita  -  è quello che ti morde il cuore. Se non ti sacrifichi, non sei. Questo, temo, è il vero punto della  'diversità' italiana: un Paese che santifica le madri, e dove le madri sono talmente intrise del concetto di sacrificio, volenti o nolenti, che nei fatti hanno ottenuto pochissimo in termini di riconoscimento sociale".






http://inchieste.repubblica.it/it/repubblica/rep-it/2013/05/06/news/non_un_paese_per_mamme-58177460/
 

venerdì 8 marzo 2013

il vero motivo..

RICORDIAMO IL VERO MOTIVO PER CUI SI FESTEGGIA L'8 MARZO

Il pomeriggio del 25 marzo 1911, un incendio che iniziò all'ottavo piano della Shirtwaist Company uccise 146 operai di entrambi i sessi. La maggioranza di essi erano giovani donne italiane o ebree dell’Europa orientale. Poiché la fabbrica occupava gli ultimi tre piani di un palazzo di dieci piani, 62 delle vittime morirono nel tentativo disperato di salvarsi lanciandosi dalle finestre dello stabile non essendoci altra via d'uscita.
I proprietari della fabbrica, Max Blanck e Isaac Harris, che al momento dell'incendio si trovavano al decimo piano e che tenevano chiuse a chiave le operaie per paura che rubassero o facessero troppe pause, si misero in salvo e lasciarono morire le donne. Il processo che seguì li assolse e l’assicurazione pagò loro 445 dollari per ogni operaia morta: il risarcimento alle famiglie fu di 75 dollari.
Migliaia di persone presero parte ai funerali delle operaie.
RICORDIAMO IL VERO MOTIVO PER CUI SI FESTEGGIA L'8 MARZO

Il pomeriggio del 25 marzo 1911, un incendio che iniziò all'ottavo piano della Shirtwaist Company uccise 146 operai di entrambi i sessi. La maggioranza di essi erano giovani donne italiane o ebree dell’Europa orientale. Poiché la fabbrica occupava gli ultimi tre piani di un palazzo di dieci piani, 62 delle vittime morirono nel tentativo disperato di salvarsi lanciandosi dalle finestre dello stabile non essendoci altra via d'uscita.
I proprietari della fabbrica, Max Blanck e Isaac Harris, che al momento dell'incendio si trovavano al decimo piano e che tenevano chiuse a chiave le operaie per paura che rubassero o facessero troppe pause, si misero in salvo e lasciarono morire le donne. Il processo che seguì li assolse e l’assicurazione pagò loro 445 dollari per ogni operaia morta: il risarcimento alle famiglie fu di 75 dollari.
Migliaia di persone presero parte ai funerali delle operaie.

2 giugno 1946


Le 21 donne dell'Assemblea Costituente, le madri della Repubblica, alcune staffette partigiane, molte reduci da prigione e confino, elette il 2 giugno 1946. Ci piace ricordarle una per una:

Adele Bej, Nadia Gallico Spano, Nilde Jotti, Teresa Mattei, Angiola Minella, Rita Montagnana, Teresa Noce, Elettra Pollastrini, Maria Maddalena Rossi, Laura Bianchini, Elisabetta Conci, Filomena Delli Castelli, Maria De Unterrichter Jervolino, Maria Federici, Angela Gotelli, Angela Guidi Cingolani, Maria Nicotra, Vittoria Titomanlio, Angelina Merlin, Bianca Bianchi, Ottavia Penna Buscemi

eventi attorno all'8 marzo in città


La Mimosa

DOMENICA 10 marzo 2013
> Orto Botanico, Scaletta di Colle Aperto - ore 16.00
VISITA GUIDATA GRATUITA

LA MIMOSA E ALTRE PIANTE NELLA STORIA DELLE DONNE E DEGLI UOMINI.
Simbologie e mitologie che legano regno vegetale e mondo femminile.
A cura di Francesca Pugni.

Nell'ambito della FESTA DELLA DONNA
organizzata da Ass. alla Cultura e Consiglio delle donne del Comune di Bergamo, Soroptimist, Civico Museo Archeologico, Gamec, Isrec, Orto Botanico

domenica 3 febbraio 2013

tornare a casa

"Molti sono i modi per tornare a casa: alcuni profani, alcuni divini. Rileggere brani di libri o poesie che ci hanno commosse. Passare anche soltanto pochi minuti in riva a un fiume, accanto a un corso d’acqua o in una caletta. Sdraiarsi per terra nella luce che filtra tra gli alberi. Stare con la persona amata senza avere i bambini attorno. Camminare o guidare per un’ora senza meta e poi tornare. Prendere un autobus con destinazione ignota. Tamburellare con le dita ascoltando musica. Raggiungere un posto dove le luci non interferiscono con il cielo notturno. Stare con un amico speciale. Tenere in braccio un bambino piccolo. Sedere in un bar, accanto alla finestra, e scrivere. Asciugarsi i capelli al sole. Aprire le mani sotto la pioggia. Curare le piante e sporcarsi ben bene le mani di terra. Contemplare la bellezza, la grazia, la commovente fragilità degli esseri umani.”

(Clarissa PINKOLA ESTES, Donne che ballano coi lupi)

giovedì 8 marzo 2012

ancora su oggi...

Festa delle donne: perché l’8 marzo? Chiariamo un equivoco

Innanzitutto chiamiamola con il nome che le è più proprio: Giornata Internazionale della donna, poiché meglio spiega il senso di questa ricorrenza, istituita per celebrare un impegno civico, etico e politico, che ha caratterizzato i movimenti femminili per la dignità e i diritti delle donne nel XIX e XX secolo.
In secondo luogo chiariamo un equivoco, ormai diffuso e a tutt'oggi perpetrato dai media: mi riferisco all'ormai leggendario episodio dell'incendio nell'inesistente industria di camicie Cottons avvenuto nel 1908 a New York. Non che un tragico incidente non fosse avvenuto sul serio: il 25 marzo 1911 infatti, un incendio devastò la fabbrica Triangle di New York uccidendo più di 140 persone, in maggioranza giovani donne immigrate dall'Europa.
Le celebrazioni, che in realtà si erano diffuse in Nord America e in alcuni stati europei già all'inizio del XX secolo, seppur in maniera saltuaria e in giorni diversi, sono state fissate per l'8 marzo in ricordo del massiccio movimento di protesta avvenuto a San Pietroburgo, il 23 febbraio 1917 (secondo il calendario giuliano allora vigente in Russia ed equivalente all'8 marzo secondo il nostro calendario gregoriano) il quale segnò l'inizio di una serie di manifestazioni che portarono al crollo dello zarismo e spinsero il governo provvisorio russo ad accordare il diritto di voto alle donne.
Il 14 giugno 1921 la Seconda Conferenza Internazionale delle donne comuniste che si tenne a Mosca, fissò all'8 marzo la Giornata Internazionale dell'Operaia. In Italia le prime celebrazioni si tennero nel 1922, su iniziativa del Partito Comunista d'Italia ma furono ufficializzate solo dopo la Seconda Guerra Mondiale, nel 1946, ad opera dell'UDI, Unione Donne d'Italia che scelse la mimosa, che fiorisce i primi di marzo, come simbolo del giorno.
Soltanto nel 1975 però, durante l'Internation Woman Year, le Nazioni Unite cominciarono a celebrare l'8 marzo come la Giornata internazionale della donna e, due anni più tardi, l'Assemblea Generale dichiarò che venisse istituito un giorno per i diritti delle donne e per la pace internazionale da ognuno degli stati membri in accordo con la propria storia e le proprie tradizioni.
Perché celebrare ancora l'8 marzo? l'Assemblea Generale del '77 citò almeno due motivi tuttora validi: per riconoscere il fatto che, per assicurare la pace e il progresso sociale e le libertà fondamentali dell'essere umano, è richiesta la partecipazione attiva, l'eguaglianza e l'emancipazione delle donne e per rendere noto il contributo delle donne nella sfida dellla pace e della sicurezza internazionale.
In memoria di tutti gli avvenimenti che hanno caratterizzato la lotta per i diritti civili delle donne a partire dalla Rivoluzione francese in poi, questa giornata è inoltre (dovrebbe essere?) simbolo di impegno civico per tutte quelle donne nel mondo che ancora patiscono condizioni di sudditanza e di mortificazione fisica e psichica nonché pretesto per riflettere sui traguardi raggiunti e quelli ancora da raggiungere.

oggi


CHE SIA SEMPRE L'8 MARZO!

Che Orlando 2018 abbia inizio!

Vi aspettiamo da stasera al Festival Orlando 2018 con uno spazio dedicato ad Altrestoriepossibili. Libri, immagini, suoni e colori di un...