Vita da madre nel Terzo millennio
Così si raccontano cento donne
Abbiamo inviato un questionario a un gruppo di mamme
del nord e sud d'Italia: in tante hanno pagato la maternità con la
solitudine e spesso hanno perso il lavoro. Ma c'è anche chi, con un
impiego precario, ha dovuto rinunciare ad avere un figlio. Lo Stato? Il
grande assente:una su due vorrebbe cambiare Paese
ROMA - Dicono sia la cosa più bella del
mondo. Molto probabilmente lo è. Ma il mondo delle giovani madri,
spesso, somiglia a un delirio di solitudine. Soprattutto in Italia. La
vita precedente, dopo il parto, non esiste più, soppiantata da un'altra
in cui è la donna, salvo rarissimi casi, a occuparsi di ogni cosa e a
ritrovarsi, in poche ore, a gestire un essere umano che ha bisogno di
tutto. Notti insonni, crisi di panico, senso di inadeguatezza, neanche
più un minuto per sé, in molti casi l'obbligo di dire addio al lavoro.
Per le donne che prima di diventare madri lavoravano, viaggiavano e
uscivano, la maternità rappresenta un'"amputazione". Perché la vita di
chi è alle prese col primo figlio è fatta di dieci, dodici, ventiquattro
ore al giorno in compagnia di un bambino che non parla, ma piange,
mangia e ogni tanto si ammala. Moltissime non hanno nessuno a cui
rivolgersi, dato che il compagno - quando c'è - lavora, e gli amici si
defilano appena sanno che la tua vita è legata a quella di un bambino di
poche settimane.
Questo il profilo che emerge dalla nostra
inchiesta sulle madri in Italia, cento intervistate da nord a sud del
paese. Tra loro diplomate, laureate, qualcuna anche in possesso di un
master. Moltissime con uno o due figli di meno di 5 anni. Anche se in
tante possono far ricorso all'aiuto dei nonni, si sentono sole.
Solissime. Una su quattro dichiara che la cosa che la fa soffrire di più
è l'indifferenza degli altri di fronte alle proprie difficoltà. Una
cosa che pesa addirittura più delle discriminazioni sul lavoro. E non
certo perché queste non ci siano: le disoccupate tra le intervistate
sono 25 su cento. Di queste 21 hanno smesso di lavorare dopo la
maternità.
Per scelta? Sì, ma quasi sempre per forza. "Circa l'8%
delle lavoratrici subisce discriminazioni sul lavoro in conseguenza del
fatto di avere un bambino. Quasi sempre - spiega Alessandra Menelao,
Responsabile dei centri di ascolto mobbing e stalking UIL - quelle del
sud dopo il parto non tornano più al loro precedente impiego. Tutte,
senza distinzioni territoriali, denunciano poco. Il 'mobbing da
maternità' emerge più facilmente nel privato che nel pubblico, ma questo
solo perché nel pubblico ci sono comitati che prevengono queste
situazioni. Il settore più colpito, comunque, è il terziario".
Il
senso di abbandono pesa quanto le difficoltà economiche. La spesa media
per un figlio che ha meno di 10 anni si aggira sui 300 euro al mese e
le famiglie che hanno due o tre bambini arrivano a spenderne anche
1000. I nidi migliori si trovano in Emilia Romagna ed è questa la
regione dove troviamo anche le madri più soddisfatte della propria
condizione. Non è un paese per mamme, insomma? Le nostre intervistate
non hanno dubbi: Italia bocciata da un plebiscito. E nasce addirittura
la voglia di scappare, un desiderio espresso da una donna su due. Pronte
ad emigrare negli Usa o in Nord Europa , in Sud America o in Australia.
Altro che festa della mamma, o maternità come status symbol.
Soprattutto chi ha figli in questo paese si sente stretto.
Per
fortuna ci sono i paracadute: certo i nonni, non tanto per il sostegno
economico, quanto per il ruolo di super baby sitter. Ma neppure il
sostegno dei "secondi genitori" va dato per scontanto se una madre su
quattro dichiara di non ricevere alcun tipo di aiuto. Anche per questo
una delle cose che rende più felici le nostre intervistate è l'incontro
con servizi sociali o volontari in gamba. E stanno nascendo anche gruppi
di mutuo aiuto tra madri, basati sui social network. Tra associazioni e
reti in Italia sono circa un migliaio le nuove realtà.
I
risultati di questa inchiesta si allineano con quelli raccolti dal
Formez, Centro servizi, assistenza, studi e formazione per
l'ammodernamento della P. A., dal quale emerge un profondo disagio da
parte delle madri italiane, soprattutto dal punto di vista economico. Il
servizio Lineaamica, che riceve ogni giorno decine di telefonate con
richieste di aiuto da parte di donne madri, ha infatti registrato che,
su 280 contatti raccolti ultimamente, le domande più frequenti
riguardano il funzionamento della social card (38%), i contributi per i
nuovi nati (25%), i pagamenti bonus bebè previsti dalla Regione Lazio
(20%) e le novità introdotte dal decreto Fornero-Grilli del 22 dicembre
che introduce importanti innovazioni per i neogenitori lavoratori.
Le
difficoltà pratiche e il senso di abbandono sofferto dalle madri
restano però un allarme che la società non vuole ascoltare. E,
paradossalmente, l'icona stereotipata del materno sembra, da dieci anni a
questa parte, essere tornata in voga in tutto il suo splendore. Se sei
donna "devi" essere madre. E, soprattutto, devi esserlo bene. E non solo
in Italia. Esattamente un anno fa, la copertina del settimanale Time
ritraeva una madre che allattava il figlio di quasi quattro anni,
condizione essenziale "per farlo crescere sereno", si leggeva nel pezzo
interno al giornale.
A sviscerare lo stereotipo della "mamma per
forza a tutti i costi" ci ha pensato la giornalista e scrittrice
Loredana Lipperini col bellissimo
"Di mamme ce n'è più d'una"
(Feltrinelli, 315 p., 15 euro), libro che, basandosi su decine di post
scritti da donne sul blog dell'autrice, racconta questa virata
dell'immaginario verso la maternità come destino e non come scelta e
dell'ostinata, miope riproposizione di due soli modelli di madre: quella
che rinuncia a tutto per sacrificarsi al figlio, e la madre acrobata,
che concilia lavoro e famiglia col sorriso sulle labbra. "Ma ne esistono
migliaia, non due", spiega l'autrice.
Una conclusione che, a
luce delle risposte raccolte con la nostra inchiesta, non si può non
condividere. Perché ogni madre è, prima di tutto, una donna. Avere per
anni sottovalutato o addirittura ignorato questa realtà ha creato una
società incapace di accogliere e sostenere le sue protagoniste nel
momento più delicato della vita, nell'assurda convinzione che una madre
abbia più doveri che diritti e che l'inclinazione al sacrificio faccia
parte del suo dna. "Perché si può essere culturali quanto si vuole -
spiega Lipperini - ma infine il concetto di sacrificio - concetto
cattolico radicatissimo nella nostra vita - è quello che ti morde il
cuore. Se non ti sacrifichi, non sei. Questo, temo, è il vero punto
della 'diversità' italiana: un Paese che santifica le madri, e dove le
madri sono talmente intrise del concetto di sacrificio, volenti o
nolenti, che nei fatti hanno ottenuto pochissimo in termini di
riconoscimento sociale".
http://inchieste.repubblica.it/it/repubblica/rep-it/2013/05/06/news/non_un_paese_per_mamme-58177460/