“Girando il film ho capito che non ero mai stato capace di decifrare il movimento, di comprenderlo come Pina riusciva a fare".
Sconvolgente, impressionante, scioccante, questo è senz’altro il film per eccellenza di questa sesta edizione del Festival di Roma. Un ritratto a più voci dove ogni dettaglio rappresenta un cambiamento sostanziale, dove la percezione di un volto appare come un paesaggio stratificato, complesso, al cui interno milioni d sfumature giocano ad affollarsi, a stratificarsi, cedendo il passo all’indescrivibile, quello che solo il corpo, senza che la testa interferisca, scatena.
Wenders racconta come una donna riuscisse, ad occhi chiusi, a vedere col cuore, fino allo sfinimento senza risparmiarsi. Così il regista, presente in sala, racconta come abbia incontrato la prima volta questa ballerina nel Teatro La Fenicie di Venezia e senza rendersene conto, si sia ritrovato stretto alla propria poltrona piangendo tanto era l’intensità indescrivibile dello spettacolo danzante.

Presentato nello scorso Festival di Berlino Fuori Concorso, candidato all’Oscar come migliore film straniero ed ora in anteprima al Festival del Cinema di Roma, il documentario dedicato all’amica scomparsa si mostra come un inno alla danza, alla vita, alla memoria.
Un tributo alla grazia poetica di un’interprete che ha dato modo al regista tedesco di raccontarla attraverso una regia visionaria, cogliendo nei gesti della ballerina e della sua compagnia quella inafferrabilità del movimento, quella incredibile forza di espressione senza dire una parola, che ha reso Pina Bausch una delle interpreti più sensazionali del teatro danza.
“Questo fil non sarebbe potuto essere altrimenti che in 3D, attraverso questa tecnologia sono riuscito a trovare il linguaggio espressivo adatto per rendere omaggio a Pina Bausch”. Così appare manifesta, addirittura lampante, l’idea per cui il cinema tridimensionale possa riuscire a cogliere lo spessore, il volume invece di percepire delle silhouette.
Eppure al di là che si scegliesse la bidimensionalità o la tridimensionalità questo film sembra dimostrare come il cinema riesca a donare l’immortalità agli attimi, ai gesti, a chi, scomparso, continua con le sue movenze riprese in video, con le parole dei suoi ballerini che la ricordano, ad assomigliare ad un’ombra che imperterrita insegna il proprio modo di percepire la vita: “Spaventami, siate folli e bellissimi”.
Tra i pochi esperimenti in Europa di film d’essai girati in 3D, ed il primo tridimensionale al quale lavora Wenders, Pina è il frutto di un lavoro che si offre alla ballerina coreografa tedesca scomparsa poco più di due anni fa.
Così la profondità, la terza dimensione alla quale ricorre il regista tedesco, appare come pura necessità per rendere materico lo spessore con il quale si mettono in scena le volteggianti girandole della compagnia di Pina Bausch.
“Girando il film ho capito che non ero mai stato capace di decifrare il movimento, di comprenderlo come Pina riusciva a fare. Se ti tieni dentro qualcosa, i tuoi pensieri cominciano a girarci intorno e non te ne sbarazzi più. Però, se la tiri fuori, possono affiorare anche altre cose”. E’ da qui che parte Wenders, continuando a ripensare alle parole di Pina Bausch, lascia che ogni cambiamento produca il suo effetto attraverso l’espressivo, violento, malinconico e disperato linguaggio di un corpo parlante. |
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