domenica 4 novembre 2012

Abitare


Non si può essere al mondo senza abitare. Si abita non meno di quanto si sia. L’abitare rappresenta una delle relazioni fondamentali che gli uomini intrattengono con il mondo e il mondo con gli uomini. Troppo spesso lo si è dimenticato. È bene allora chiederci: che cosa significa abitare?
Ci dice la grammatica che il latino habitare è un verbo frequentativo (o intensivo) di habere (avere). Esso significa, innanzitutto, avere continuamente o ripetutamente. “Abitare” rimanda quindi all’avere con continuità. L’abitante, allora, “ha” il luogo in cui abita. Non tanto nel senso che lo possiede o ne ha proprietà, quanto in quello che ne dispone, lo conosce, ne ha confidenza, ne è pratico. L’abitante “ha” la casa in cui abita, Il cittadino “ha” la città di cui è abitante. Ogni abitante del nostro pianeta (e non solo il nomade assoluto che non abita mai nello stesso luogo) “ha” il mondo.
Ora, ne siamo davvero consapevoli? E soprattutto: ne siamo responsabili? O piuttosto: siamo consapevoli di esserne responsabili? Siamo in grado di avere, di abitare una tale responsabilità? Guardando le nostre città, i nostri villaggi, guardando il nostro mondo, guardando, pur con occhi di comprensione, il nostro pensiero, non si direbbe.
Vi è poi un altro significato concreto che l’abitare possiede. Abitare significa – già Heidegger lo aveva ricordato – costruire. L’essere al mondo come abitare significa quindi costruire un mondo. La costruzione di un mondo è sempre, tuttavia, ricostruzione del mondo già dato. Il mondo già dato che ci circonda e ci attraversa – preesistente all’abitare – è la natura, l’ambiente naturale. L’abitare come costruzione può tuttavia facilmente trasformarsi – e si è senz’altro trasformato – in distruzione del mondo naturale. L’abitare si colloca sempre in questo equilibrio precario tra costruzione-ricostruzione-distruzione. Anche qui dovremmo chiederci: ne siamo consapevoli? Possiamo abitare, costruire, senza distruggere?
Un altro elemento, infine, non possiamo non rilevare nell’introdurre con qualche nota di pensiero il tema di quest’edizione di “Spazi del contemporaneo”. Se abitare è costruire, l’abitare, allora, è sempre qualcosa di artificiale. Per quanto naturali siano i materiali con cui si costruisce l’abitare, per quanto l’abitazione sia inevitabilmente inserita nel mondo naturale (e ne dipenda), essa è sempre un artefatto. E se è un artefatto, ha a che fare con l’arte. Non vi è mai una pura funzionalità (sia pure quella semplice ed elementare dell’abitare) che manchi di un elemento estetico. Non vi è artefatto che non svolga una qualche funzione estetica. Esso infatti – si tratti di grandi volumi o di dettagli – è oggetto di visione, appare al nostro sguardo. Siamo allora di fronte ad un altro equilibrio precario: quello tra funzionalità abitativa (in un senso ampio) e funzionalità estetica. Nel pensare, progettare, guardare i nostri conglomerati abitativi non dovremmo mai dimenticarlo. È una delle domande che non si mancherà di porre in questi giorni di festa del pensiero: quanto spesso lo dimentichiamo? Come possiamo non dimenticarlo?
Non possiamo non abitare, si diceva. Ma possiamo abitare senza sapere ciò che l’abitare comporta. Vogliamo dare un piccolo contributo, provocando come sempre il pensiero, affinché ciò non accada.

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