mercoledì 23 gennaio 2013

GENITORI CON IL CUORE




à.
Genitori con il cuore” scritto da Jan Hunt, psicologa e direttrice del Natural Child Project, il cui sito, se masticate un po’ d’inglese, vi suggerisco caldamente di visitare, ci regala alcuni dei consigli più preziosi di cui possiamo disporre se desideriamo rapportarci ai nostri figli in modo empatico e rispettoso.

Il libro è un invito rivolto ai genitori, di ritornare a riporre fiducia nella propria istintiva saggezza, spesso sepolta sotto una invalicabile coltre di pregiudizi e luoghi comuni perpetrati e trasmessi di generazione in generazione,  ed a coltivare il calore, l’amorevolezza, l’attaccamento, e soprattutto il rispetto per il bambino e per la sua individualità.

Il libro parte dall’assunto secondo il quale ogni essere umano si comporta esattamente così come viene trattato dagli altri. Un bambino si comporterà bene se sarà trattato con rispetto, si comporterà male se si sentirà ferito, raggirato od umiliato.
Chi maltratta i propri figli, è stato di solito a sua volta maltrattato in passato dai propri genitori, ma tende ad allontanarlo dalla coscienza attraverso il meccanismo psicologico della rimozione, perchè si tratta di un ricordo troppo doloroso. Guadagnare la consapevolezza del proprio passato, è essenziale per smarcarsi da questa sorta di coazione a ripetere gli stessi comportamenti che sarebbe altrimenti inesorabile. Così come è essenziale che i genitori siano riusciti ad apprendere e far propri nuovi e sani modelli costruttivi da prendere ad esempio.
La Hunt si riferisce ripetutamente alle teorie di Alice Miller, della quale ho già parlato qui e qui. La Miller, eminente psicologa dell’età evolutiva, ha dedicato tutta la sua vita allo studio degli effetti che gli abusi infantili determinano in età adulta.

Purtroppo il concetto di “tough love“, l’amore duro, è talmente radicato nella nostra cultura, da apparire naturale e giusto, l’uso di metodi ruvidi, coercitivi, “sbrigativi” o manipolatori, se non addirittura l’uso delle punizioni corporali, viene giustificato spesso con la necessità di insegnare ai figli la vita.
L’uso di simili metodi “educativi” si spiega anche considerandoli espressione di quel retaggio culturale o meglio, sottoculturale, secondo il quale i figli vengono ritenuti di proprietà degli adulti, espressione di una cultura pedagogica di stampo arcaico, secondo la quale era lecito aspettarsi dai più piccoli obbedienza, rispetto e riverenza, valori importantissimi, ma solo se universalmente riconosciuti ad ogni essere umano, a prescindere dal sesso dalla razza, dall’estrazione sociale e dall’età, quindi appartenenti anche ai più piccoli.
Purtroppo, quando si tratta di bambini, questi valori sono spesso interpretati solo a senso unico, spesso, il rispetto di tali valori da parte dei più piccoli veniva assicurato ed in alcune realtà viene ancora garantito, dal ricorso a mezzi coercitivi e violenti, pertanto la considerazione che si riceve in questo modo, non deriva da un moto spontaneo interiore da parte del bambino, o dall’ascolto di sentimenti d’amore e fiducia, ma è pura formalità e vuota osservanza dell’etichetta.
In realtà, la sola cosa certa è che ricorrendo alle umiliazioni, alle manipolazioni ed alla violenza verbale e fisica, il rapporto genitore-figlio finisce per essere gravemente compromesso, e, cosa ancora più importante, verrà impoverito il rapporto che il bambino ha con sè stesso generando in lui afflizione e dolore.
Tra l’altro l’uso di metodi punitivi umilianti, degradanti o violenti, interferisce, vanificandola, con ogni occasione d’apprendimento per il bambino, che, impegnato nell’elaborare ed affrontare i sentimenti di rabbia ed angoscia per il trattamento ricevuto, non trarrà alcun insegnamento dalla lezione se non quello di ripetere a sua volta simili comportamenti una volta cresciuto. Anche quando apparentemente tali metodi repressivi sembrano dispiegare la loro efficacia, questa si fonda esclusivamente sul timore da parte del bambino di essere punito, non si tratta di comportamenti collaborativi scelti dal bambino stesso mosso dal rispetto che nutre nei confronti dell’adulto, ma solo dal desiderio di non incorrere in sanzioni.
La censura da parte dei genitori di comportamenti derivanti da emozioni quali la rabbia ed il pianto, comunica inoltre al bambino che esistono sentimenti inaccettabili, e questo porterà il piccolo a reprimerli, occultarli e rifiutare una volta adulto di lasciarli fluire in modo sano. Rifiutandoli non solo quando si tratta dei propri sentimenti, ma pure quando si tratta di quelli degli altri. La rabbia inespressa, sedimenta nel corso del tempo fino ad esplodere letteralmente più in là nel tempo, di solito nel delicato periodo adolescenziale, quando il bambino diventato ragazzo si sente sufficientemente forte e sicuro di sè per dare ad essi libero sfogo.

Ho cercato di riassumere molto sinteticamente il contenuto di un libro che ha il merito a mio avviso, di divulgare le teorie sull’infanzia elaborate da Alice Miller con semplicità ed immediatezza, rendendo queste posizioni fruibili e comprensibili a chi magari si è avvicinato con difficoltà agli scritti della celebre psichiatra, od ancora non l’ha fatto e può costituire un valido punto di partenza per farlo ed approfondire il tema dell’educazione non violenta
Il libro contiene anche un capitolo sull’apprendimento naturale e sull’homeschooling, rifacendosi alle teorie di John Holt e prendendo in considerazione molteplici aspetti come il sistema di voti e giudizi, la naturale predisposizione dei bambini all’apprendimento, ed il rapporto con genitori/insegnanti.

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