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Genitori con il cuore” scritto da Jan Hunt, psicologa e direttrice del
Natural Child Project,
il cui sito, se masticate un po’ d’inglese, vi suggerisco caldamente di
visitare, ci regala alcuni dei consigli più preziosi di cui possiamo
disporre se desideriamo rapportarci ai nostri figli in modo empatico e
rispettoso.
Il libro è un invito rivolto ai genitori, di ritornare a riporre
fiducia nella propria istintiva saggezza, spesso sepolta sotto una
invalicabile coltre di pregiudizi e luoghi comuni perpetrati e trasmessi
di generazione in generazione, ed a coltivare il calore,
l’amorevolezza, l’attaccamento, e soprattutto il
rispetto per il bambino e per la sua individualità.
Il libro parte dall’assunto secondo il quale ogni essere umano si
comporta esattamente così come viene trattato dagli altri. Un bambino si
comporterà bene se sarà trattato con rispetto, si comporterà male se si
sentirà ferito, raggirato od umiliato.
Chi maltratta i propri figli, è stato di solito a sua volta
maltrattato in passato dai propri genitori, ma tende ad allontanarlo
dalla coscienza attraverso il meccanismo psicologico della rimozione,
perchè si tratta di un ricordo troppo doloroso. Guadagnare la
consapevolezza del proprio passato, è essenziale per smarcarsi da questa
sorta di coazione a ripetere gli stessi comportamenti che sarebbe
altrimenti inesorabile. Così come è essenziale che i genitori siano
riusciti ad apprendere e far propri nuovi e sani modelli costruttivi da
prendere ad esempio.
La Hunt si riferisce ripetutamente alle teorie di
Alice Miller, della quale ho già parlato
qui e
qui.
La Miller, eminente psicologa dell’età evolutiva, ha dedicato tutta la
sua vita allo studio degli effetti che gli abusi infantili determinano
in età adulta.
Purtroppo il concetto di “tough love“, l’amore duro,
è talmente radicato nella nostra cultura, da apparire naturale e
giusto, l’uso di metodi ruvidi, coercitivi, “sbrigativi” o manipolatori,
se non addirittura l’uso delle punizioni corporali, viene giustificato
spesso con la necessità di insegnare ai figli la vita.
L’uso di simili metodi “educativi” si spiega anche considerandoli
espressione di quel retaggio culturale o meglio, sottoculturale, secondo
il quale i figli vengono ritenuti di proprietà degli adulti,
espressione di una cultura pedagogica di stampo arcaico, secondo la
quale era lecito aspettarsi dai più piccoli obbedienza, rispetto e
riverenza, valori importantissimi, ma solo se universalmente
riconosciuti ad ogni essere umano, a prescindere dal sesso dalla razza,
dall’estrazione sociale e dall’età, quindi appartenenti anche ai più
piccoli.
Purtroppo, quando si tratta di bambini, questi valori sono spesso
interpretati solo a senso unico, spesso, il rispetto di tali valori da
parte dei più piccoli veniva assicurato ed in alcune realtà viene ancora
garantito, dal ricorso a mezzi coercitivi e violenti, pertanto la
considerazione che si riceve in questo modo, non deriva da un moto
spontaneo interiore da parte del bambino, o dall’ascolto di sentimenti
d’amore e fiducia, ma è pura formalità e vuota osservanza
dell’etichetta.
In realtà, la sola cosa certa è che ricorrendo alle umiliazioni, alle
manipolazioni ed alla violenza verbale e fisica, il rapporto
genitore-figlio finisce per essere gravemente compromesso, e, cosa
ancora più importante, verrà impoverito il rapporto che il bambino ha
con sè stesso generando in lui afflizione e dolore.
Tra l’altro l’uso di metodi punitivi umilianti, degradanti o
violenti, interferisce, vanificandola, con ogni occasione
d’apprendimento per il bambino, che, impegnato nell’elaborare ed
affrontare i sentimenti di rabbia ed angoscia per il trattamento
ricevuto, non trarrà alcun insegnamento dalla lezione se non quello di
ripetere a sua volta simili comportamenti una volta cresciuto. Anche
quando apparentemente tali metodi repressivi sembrano dispiegare la loro
efficacia, questa si fonda esclusivamente sul timore da parte del
bambino di essere punito, non si tratta di comportamenti collaborativi
scelti dal bambino stesso mosso dal rispetto che nutre nei confronti
dell’adulto, ma solo dal desiderio di non incorrere in sanzioni.
La censura da parte dei genitori di comportamenti derivanti da
emozioni quali la rabbia ed il pianto, comunica inoltre al bambino che
esistono sentimenti inaccettabili, e questo porterà il piccolo a
reprimerli, occultarli e rifiutare una volta adulto di lasciarli fluire
in modo sano. Rifiutandoli non solo quando si tratta dei propri
sentimenti, ma pure quando si tratta di quelli degli altri. La rabbia
inespressa, sedimenta nel corso del tempo fino ad esplodere
letteralmente più in là nel tempo, di solito nel delicato periodo
adolescenziale, quando il bambino diventato ragazzo si sente
sufficientemente forte e sicuro di sè per dare ad essi libero sfogo.
Ho cercato di riassumere molto sinteticamente il contenuto di un
libro che ha il merito a mio avviso, di divulgare le teorie
sull’infanzia elaborate da
Alice Miller con semplicità
ed immediatezza, rendendo queste posizioni fruibili e comprensibili a
chi magari si è avvicinato con difficoltà agli scritti della
celebre psichiatra, od ancora non l’ha fatto e può costituire un valido
punto di partenza per farlo ed approfondire il tema dell’educazione non
violenta
Il libro contiene anche un capitolo sull’apprendimento naturale e
sull’homeschooling, rifacendosi alle teorie di John Holt e prendendo in
considerazione molteplici aspetti come il sistema di voti e giudizi, la
naturale predisposizione dei bambini all’apprendimento, ed il rapporto
con genitori/insegnanti.